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Spengiamo la tavola


Queste sono le parole del fisico francesce Francoise Aragò, che il 7 gennaio 1839 riferiva ad una sessione straordinaria dell’Accademia delle Scienze e delle belle arti di Parigi, informando i presenti che il “dagherrotipo”, dal nome del suo inventore, sarebbe stato presentato il mese successivo, prima alla Camera dei Deputati e quindi all’Accademia.


Sono passati quasi duecento anni da quella sessione accademica straordinaria e nonostante da subito fosse stata intuita la portata della scoperta di Daguerre, nessuna di quelle eccellenze, si sarebbe mai immaginata che solo due secoli dopo, quella immagine fissata su una lastra di metallo, opportunamente evoluta e modernizzata, da semplice ricordo, si sarebbe trasformata nella principale dimostrazione di “esistenza” di molti Esseri Umani.

Quest’anno ho festeggiato con Stefania il capodanno a casa di alcuni amici che mi ha regalato

il progetto per un mondo migliore, in una serata conviviale bellissima, condita da un’ottima cena a base di pesce, nella quale abbiamo conversato di mille argomenti, con un’attenzione ed un interesse verso gli altri presenti, al punto che il giorno dopo, commentando la serata con la quale abbiamo chiuso il decennio, ci siamo resi conto che nessuno aveva scattato delle foto, tranne le poche con cui abbiamo aperto la serata.

Oggi tutto ruota intorno all’apparire e l’immagine che proponiamo agli altri, è spesso il nostro biglietto da visita principale, dal quale riceviamo riconoscimenti o critiche. Non importa ciò che veramente siamo o cosa facciamo, quello che conta è come ci presentiamo agli occhi degli altri o peggio ancora, come gli altri in ogni caso ci vedono o ci percepiscono. Ieri abbiamo festeggiato l’epifania, che se probabilmente raccontasse qualcosa avvenuto ai giorni nostri, sarebbe sicuramente immortalata dai selfie della sacra famiglia, fatti dinanzi alla mangiatoia con il bambino Gesù.



Quando eravamo bambini, poche pagine componevano i nostri album familiari rivestiti in pelle, nei quali rare nostre foto raccontavano momenti di vita particolari, che però ti emozionavano ogni volta che le andavi a sfogliare. Oggi decine di applicazioni telefoniche, contengono migliaia di nostre immagini, che raccontano tutto di noi, senza alla fine dire nulla di più, di un semplice agglomerato di byte, che non solo non ti daranno emozioni, ma che nessuno alla fine guarderà mai, spesso perdendoli tra un cambio di telefono e l’altro. Alcuni magari utilizzeranno quei moderni dagherrotipi per collezionare puzzle fotografici, calendari o poster, ma per la maggior parte delle persone, quelle immagini riappariranno solo quando qualche social gli ricorderà di averli pubblicati anni prima.

Nonostante questo, abbiamo però la impellente necessità di fissare le nostre immagini nella rete, allo scopo di dimostrare che esistiamo e che facciamo tutte le cose che fanno gli altri, al punto che spesso poi ci dimentichiamo di Esistere. Quante volte torniamo a casa da una cena o da un evento, con decine di immagini che raccontano la nostra presenza, senza renderci conto che in realtà in quelle situazioni ci siamo stati solo perché ce lo dicono quelle immagini. Provate a ricordare le parole che hanno accompagnato le decine di immagini che avete nei vostri cellulari e vi renderete conto che spesso, durante gli eventi che sono fissati in quei byte, in realtà non avete poi interagito con nessuno. Guardate le persone nei ristoranti e noterete che sono spesso piegati su se stessi dentro i loro apparecchi tecnologici che li avvicinano al mondo e li allontanano da chi hanno davanti.

Nessuno vuole criminalizzare la tecnologia e la possibilità che ci dà di fissare i nostri ricordi mediaticamente, ma forse invece che voltare le spalle alle persone che incontriamo, per allungare un braccio verso l’alto allo scopo di fissare quel momento in una fredda immagine, sarebbe meglio tornare ad assaporare il gusto di tendere entrambe le braccia verso chi abbiamo davanti, stringendolo forte a noi, per fissare davvero nel nostro cuore qualcosa che dia veramente importanza alle persone, che giornalmente incontriamo nel nostro cammino.

Chi viene a conoscermi agli eventi a cui vengo invitato, può testimoniare che amo baciare ed abbracciare tutti quelli che incontro: credo che questo sia davvero il modo più semplice per creare un mondo migliore che forse sarà anche rappresentato da alcune immagini da potere rivedere, ma che mai potranno raccontare le emozioni che hai provato, quando quelle foto sono state scattate.

Proviamo a fare una piccola cosa almeno a tavola: spengiamola… Lasciamo i nostri telefoni lontano dal tavolo dove pranziamo o ceniamo, come abbiamo fatto per capodanno, quando li abbiamo depositati su una consolle, nell’ingresso di casa di Tiziana ed Alessandro, a cui vanno i miei ringraziamenti per la bellissima serata nella quale abbiamo festeggiato l’arrivo del nuovo decennio, in compagnia di Antonella, Eugenio, Pino e Rosita, dentro un’atmosfera antica di parole e sguardi di persone reali, vere, ma soprattutto, presenti, al punto che ci siamo accorti che era mezzanotte, pochi secondi prima dello scoccare del nuovo anno.

“Il problema delle foto è solo uno: per quanto possano essere spettacolari, non riusciranno mai a trasmettere le emozioni che prova la persona che le scatta in quel determinato contesto. Sarebbe bello poter fotografare i pensieri di quel momento...” (Dudi)

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