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"Qui si fa l'Italia o lo spot?"


«Nino, qui si fa l'Italia o si muore!»


Questa nota frase, ci riporta al 15 maggio 1860, quando Garibaldi, nella famosa battaglia di Calatafimi, così avrebbe risposto a Nino Bixio, il quale aveva ordinato la ritirata delle truppe dei mille, comandate dall’Eroe dei due mondi. In realtà il fatto che Garibaldi abbia così risposto a Nino Bixio, fa parte di una retorica risorgimentale poco credibile e difatti, sembrerebbe che Garibaldi abbia invece lanciato questo monito ai suoi uomini, poco prima del contrattacco alla baionetta, come incitamento per fermare l’attacco borbonico, dei Cacciatori Napoletani.

Oggi vi ho voluto raccontare questo episodio che ci narra la storia, per commentare un fatto di cronaca di cui si sta parlando in questi giorni, che riguarda quell’italianità ed il nazionalismo che dovrebbe muovere il nostro fare, ma che spesso, come abbiamo visto nella battaglia di Calatafimi, alla fine racconta più quello che vogliono farci credere, che non la realtà di ciò che accade davvero. Come forse saprete, stasera la nazionale italiana di calcio affronterà la Grecia, in una partita valida per le qualificazioni ai prossimi europei di calcio. Prima di

commentare quello che succederà questa sera, devo soffermarmi un attimo su quello che è divenuto oggi lo sport, ed in particolare il calcio, che di fatto rappresenta il “non plus ultra”, delle armi di distrazione di massa del potere.


Il calcio, da molti considerato lo sport nazionale, in realtà è una macchina da soldi, che muove migliaia di milioni di euro nel mondo e anche nella nostra penisola, ed è quanto di meno patriottico si possa pensare di portare a paragone con la nostra bandiera. Chi lo gestisce, lo vede solo ed esclusivamente come uno dei tanti poteri economici, con i quali pilotare la nostra società. È chiaro che per fare tutto questo vi è la necessità di finanziare con grandi capitali questo mondo, attraverso

sponsorizzazioni da parte di aziende e multinazionali, che poi abbiano un ritorno economico dai loro investimenti.

Dietro queste aziende, che buttano milioni di euro in questi progetti che sono solo meccanismi economici, vi sono tutta una serie di ricercatori e studiosi che si impegnano costantemente, semplicemente per fare in modo che il brand per cui lavorano, raggiunga costantemente quella visibilità, che poi si trasformerà nei guadagni derivati dall’acquisto dei prodotti sponsorizzati. Nella società del “Polemos” in cui viviamo, allora quale arma migliore della polemica può portare a risultati? L’importante è avere sempre una scusa per giustificare anche atti e azioni assurde o contro logica, ed ecco che questa sera, per l’incontro con la Grecia, lo sponsor tecnico della nazionale, ha presentato all’uopo, una muta commemorativa, che al posto del tradizionale azzurro della divisa sociale, ha un bel “verde divano”, su cui spicca anche l’assenza del tradizionale scudetto tricolore sul petto, sostituito da un analogo scudetto di colore oro e azzurro.

Apriti cielo! I puristi nazionalisti hanno visto questa cosa come un complotto contro i valori della nazione, che nell’azzurro viene da loro riconosciuto, dimenticando che in realtà le fonti storiche raccontano che la prima nazionale di calcio italiana, aveva la maglietta di colore bianco e che l’unico colore con cui lo sport italiano viene ufficialmente riconosciuto, è il “rosso corsa”. L’azzurro sarebbe stato scelto in onore di Casa Savoia, dinastia regnante all'epoca in Italia, in quanto rappresentava il colore del loro casato fin dal 1360: il blu Savoia, che era appunto un azzurro molto intenso. Quindi chi grida all’azzurro quale simbolo della nostra Repubblica, in realtà esalta i valori della vecchia Monarchia.

Nelle foto di presentazione di questa muta commemorativa di colore “verde ottanio”, lo sponsor ha precisato che è dedicata alla nazionale Italiana che, il 5 dicembre 1954 allo stadio Olimpico di Roma, ne ha vestito una dello stesso colore, per affrontare l’Argentina vincendo alla fine per due a zero. La maglietta verde, già utilizzata peraltro dalle nazionali giovanili calcistiche per tanti anni, era stata allora scelta, come per la partita di stasera, come omaggio al Rinascimento italiano, che è solitamente rappresentato dal colore verde, che simbolicamente sta a ricordare il riscatto, la rinascita e la ripartenza, che cade a fagiolo per la nazionale maggiore allenata da Mancini, dopo l’ultima mancata qualificazione mondiale, della nazionale di venturiana memoria.

Chiaramente tutte le polemiche nate dopo la presentazione di questa muta, che non sostituirà quella azzurra come erroneamente affermato da qualcuno, ma sarà utilizzata dalla nazionale di calcio per sole due partite, hanno dato pienamente ragione allo sponsor tecnico, che comunque è riuscito a fare parlare molto di sé e di questo suo nuovo prodotto di marketing, con attacchi smisurati e senza senso, che hanno paragonato patria e sponsor ad un nazionalismo fuori luogo.

Del resto viviamo nella società del “contro” e della faziosità a prescindere e basta vedere i commenti, sotto i post legati a questa “operazione commerciale”, per trovare alcuni che vi hanno visto un attacco alla Lega di Salvini, per il fatto che tra i modelli che indossano questa nuova muta, vi è un ragazzo di colore, mentre altri hanno visto l’opposto e quindi una promozione alla Lega di Salvini, per il colore verde della maglietta. Per buona pace di tutti coloro a cui mancherà lo scudetto tricolore sul petto, ricordiamo invece che comunque il tricolore sarà rappresentato su quella

maglietta, in un banner su una manica.


E allora “Qui si fa l’Italia o lo spot?”: noi riteniamo che questa divisa commemorativa, più che fuori luogo o rivoluzionaria, sia semplicemente brutta, ma crediamo anche che tante persone andranno comunque allo stadio questa sera, indossando proprio quella maglietta verde, dimostrando alla fine che l’unico ad avere capito davvero come funziona il tutto è, come sempre, chi poi incassa un mare di soldi dalle idee che possono sembrare fuori schema, ma che muovono invece sempre e comunque il mondo della pubblicità.

In ogni caso noi stasera grideremo uniti “Forza azzurri” , con la speranza che se dobbiamo usare il colore verde, lo facciamo almeno per fare diventare “verdi di rabbia” gli amici greci, con una sonante vittoria sul campo, che ci apra le porte di un Europa calcistica, lontana da quell’idea di Europa dei popoli, che noi invece vorremmo vedere realizzata e che troppo spesso si lascia confondere dalla forma, rinnegando la sostanza. Forse dovremmo iniziare a tenere conto delle parole di Nicanor Parra:


“Crediamo di essere un paese, ma la verità è che siamo poco più di un paesaggio.”

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