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Esuli e latitanti

“Ghibellino di origini nobili e di natura generosa, fu bandito dalle sue terre e privato dei suoi averi dalla repubblica senese. Impadronitosi della fortezza di Radicofani, si dedicò a rubare ai ricchi per donare ai poveri, senza mai lasciare nessuno sul lastrico. Uccise brutalmente il giudice che aveva torturato e giustiziato il padre. Perdonato da papa Bonifacio VIII che ne fece un suo uomo di fiducia, fu ucciso in un agguato nel 1303. Dante e Boccaccio scrissero di lui ed ancora oggi è ricordato come un bandito gentiluomo dai tratti eroici”.

La giustizia italiana prevede che il reato commesso da una persona, si estingua con la sua morte e se ci atteniamo a questa disposizione di legge, in questi giorni abbiamo visto festeggiare non solo l’anniversario della scomparsa di un importante statista italiano, ma anche la fine della sua latitanza. Il 19 gennaio 2000 infatti, dopo una lunga malattia, lasciava il suo percorso terreno, uno dei personaggi più controversi della politica italiana, che molti conoscevano per i suoi scritti sull’Avanti, firmati a nome del noto bandito toscano, di sherwoodiana memoria, “Ghino di Tacco”.

Era il nomignolo che usava Benedetto Craxi, più conosciuto come Bettino, che nacque a Milano il 24 febbraio ed è stato segretario del Partito Socialista Italiano dal 15 luglio 1976 all’11 febbraio 1993, con una scalata nei palazzi di potere, che lo hanno portato a ricoprire l’incarico di Presidente del Consiglio dei ministri dal 4 agosto 1983 al 17 aprile 1987. Sicuramente è stato uno degli statisti più rilevanti della storia italiana, innovatore di una sinistra che si staccava nettamente dalla concezione filo-comunista del socialismo, in forte sintonia con molti altri leader della sinistra europea, come Felipe González e Mário Soares, creando di fatto una scuola di cultura politica, che si sarebbe affermata come il “socialismo mediterraneo”.

Innovatore, riformista ma soprattutto grande accentratore, seppe circondarsi di grandi eccellenze politiche che portarono il partito socialista, ma anche la nostra nazione, ad un posto di rilievo e di rispetto internazionale, culminata con la nota vicenda dell’ottobre del 1985, quando nella base militare di Sigonella, lui e lo stato italiano, si rifiutarono di consegnare i sequestratori dell’Achille Lauro alla Delta force americana, intervenuta circondando l’aereo presidiato dai carabinieri e dai Vam dell’aereonautica militare italiana.

Purtroppo forse quella è stata l’ultima volta che l’Italia ha dimostrato la sua sovranità nazionale e da allora puntualmente ci siamo continuamente genoflessi alle richieste di quegli stati padrone, che puntualmente ci ribadiscono la nostra inutile idea di democrazia e di federazione europea.


Bettino Craxi rimase invischiato nell’inchiesta “Mani pulite”, scaturita a Milano dall’arresto di un finanziatore illecito del PSI di Craxi, condotte dai giudici di Milano e al termine di due processi, ricevette due condanne definitive per corruzione e finanziamento illecito al Partito Socialista Italiano, rifugiandosi in Tunisia prima del suo possibile arresto dove poi morirà, prima della conclusione di altri quattro processi che lo vedevano imputato.

Bettino Craxi ammise di essere a conoscenza del fatto che il PSI aveva mangiato alla torta dei finanziamenti illeciti, godendo di un quinto di quei soldi che erano puntualmente spartiti tra tutti i partiti, ma respinse fino all’ultimo l’accusa di corruzione. Ghino di Tacco è stato per molti di noi, me compreso, il “leader maximo” quello che riconoscevamo, non come il segretario del partito socialista, ma come il fautore del Craxismo. Era adorato da quel 18% di italiani che arrivarono a votare la sua creatura politica, con una sorta di estrema fiducia nella sua persona, per le sue tante idee innovatrici ed anche per molte scelte politiche che, se in un primo momento sembravano impopolari, poi alla lunga si dimostrarono figlie di una eccelsa lungimiranza.

Il profondo amore tra Craxi e il suo popolo, si disintegrò però sotto i colpi della magistratura, ma soprattutto a causa dell’arroganza politica, di colui che ammise di avere preso ciò che non doveva, giustificando in toto quei comportamenti, contestando solo la mancanza di un intervento politico, con leggi mirate atte a modificare lo schema del finanziamento pubblico, senza che nessuno di quei politici, da destra a sinistra e alcuni dei quali oggi troviamo ancora a bilancio dello stato, sia nelle stesse persone che nei loro delfini, abbia mai avuto il buongusto di chiedere “scusa all’Italia e agli italiani”, per un sistema tangentizio ramificato e sviluppato in tutto il territorio.

Purtroppo, lo tsunami che ha travolto la cd. “Prima Repubblica” ci ha consegnato una politica ancora più sporca e lontana dagli interessi del popolo, che possiamo evidenziare anche in una ricerca di Repubblica di pochi anni fa, dalla quale emergeva che le tangenti pagate nel periodo di Craxi si attestavano al 13 per cento, mentre ai giorni nostri sono aumentate esponenzialmente raggiungendo un terzo del costo degli appalti pubblici.

Il 20 gennaio 2000 Craxi moriva ad Hammamet in Tunisia, dopo che il procuratore di Milano Borrelli, aveva rifiutato di concedergli di tornare in Italia per curarsi, nella fase finale della sua malattia, senza rischiare di essere arrestato, dichiarando che “la morte del condannato è una delle possibili implicazioni”. Noi non vogliamo assolutamente giudicare l’uomo Craxi che abbiamo ammirato ed amato, ma ci permettiamo di valutare il suo comportamento di politico e di statista. In questi giorni film, documentari e libri, ricordano questo politico, alcuni osannandolo e facendolo passare per una vittima italiana deceduta in esilio.

In realtà è bene ricordare che Bettino è morto da “Latitante” e non da esule e che per sua volontà non ha voluto affrontare il carcere italiano, con una scelta che non solo lo ha ucciso, ma che ha anche distrutto la sua memoria di statista, il quale, per non rendere soddisfazione a chi lo aveva processato per avere offeso la norma, ha preferito morire lontano dalla sua terra, continuando a violentare quelle leggi, che lo avevano condannato e che invece aveva giurato di difendere e rispettare. Se anche fosse stato convinto di avere subito un torto,

avrebbe dovuto rimanere nella sua terra, per tentare di difendere le sue posizioni, magari anche affrontando il carcere, ed invece con il suo fuggire dalle responsabilità politiche e giudiziarie, in realtà è fuggito da quella stessa politica, che aveva dimostrato di poter fare affermare, nella nostra disastrata Italia.


Molti pensano che il riformismo socialista Craxiano, sia nato da un’evoluzione del pensiero neoplatonico e per questo ci permettiamo, proprio attraverso le parole di Platone, ne “l’Apologia di Socrate”, il libro che racconta il processo al noto filosofo ateniese, di regalarvi uno spunto di riflessione sul comportamento di questo statista, che seppur odiato e amato in modo viscerale, resta comunque uno dei personaggi italiani più importanti del secolo scorso.

“E io me ne vado, condannato da voi a essere morto; costoro, condannati dalla verità a essere malvagi e ingiusti; e io accetto la pena mia, e questi la loro. Dovea forse essere così, e credo che ciascuno ricevuto ha sua misura”.

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