top of page

La tigre


“Puoi mettere in gabbia una tigre, ma non puoi essere sicuro di averla domata. Con gli uomini è più semplice”. (Charles Bukowski)


Sono i primi anni Novanta e per la prima volta porto mia figlia a visitare lo “Zoo di Pistoia”. Ancora non era nata in noi una coscienza critica verso quei luoghi di detenzione animale e il visitare quel luogo, ove si trovavano rinchiuse centinaia di specie animali provenienti da tutto il mondo, ci regalava l’illusione di potere condividere un po’ delle storie dei luoghi di provenienza di quegli esseri

viventi. Guardando il leone ci faceva credere di essere stati catapultati nella savana, osservare l’avvoltoio di avere scalato le Ande e ammirare l’orso bianco di avere attraversato i ghiacci del polo nord. Una delle “attrazioni” più affascinanti rimaneva la tigre e con mia figlia si rimase alcuni minuti fermi, ammutoliti a guardare la grande fiera, sdraiata su un ramo posticcio dentro la piccola gabbia, con lo sguardo ferito rivolto verso il nulla, provando un profondo senso di sofferenza ed ingiustizia per quell’opera d’arte della natura, relegata a pelouche di piccoli esseri umani.

In realtà quel giorno non abbiamo visto gli animali che abbiamo creduto di vedere, ma la loro rappresentazione iconica, racchiusa nei loro corpi, completamente esautorati da ogni loro peculiarità, abbruttiti da una vita fatta di detenzione, di limitazione e soprattutto di mancanza di futuro. Già, perché anche se quegli animali avrebbero avuto comunque la possibilità di vivere a lungo, curati e alimentati, la loro esistenza di fatto sarebbe stato uno spazio temporale inutile, senza emozione e soprattutto senza senso.

Ore 6,30 apertura blindato;

ore 7,00 colazione;

ore 8,00 carrello farmaci;

ore 9,00 colloquio medico, psicologo, prete o con i volontari;

ore 12,00 carrello pranzo;

ore 19,00 carrello cena;

ore 22,30 carrello farmaci;

ore 23,00 chiusura blindato;

Questa è la giornata tipo di un carcerato italiano, un essere umano che trascorrerà un determinato periodo di tempo, rinchiuso in una struttura, che non gli chiederà altro, se non di essere prigioniero. Per tutta la carcerazione, la maggior parte dei detenuti italiani, non effettuerà attività lavorative e ad oggi sono solo circa tredicimila, ovvero un quarto della popolazione carceraria, quelli che svolgono attività di lavoranti. Poco più di settemila frequentano corsi professionali e circa il 56% non ha assolto agli obblighi scolastici. Quasi tutti, quando arriveranno ad uscire dal carcere dopo avere scontato la pena, si ritroveranno in una condizione peggiore di quella che avevano quando sono entrati in carcere, con il risultato che un detenuto su tre, nella prima settimana dopo avere ritrovato la libertà, commetterà nuovamente un reato.

La nostra democrazia prevederebbe la rieducazione del detenuto e il suo reinserimento nella società, ma in realtà il carcere, come è strutturato oggi in Italia, è meramente un luogo di vendetta, nel quale lo stato ti fa ripagare, attraverso l’annullamento della tua persona, gli errori che hai commesso. La fatiscenza dei luoghi, il sovraffollamento, la carenza di strutture e di servizi, sono un ulteriore dimostrazione della poca credibilità dell’istituto carcerario, che risulta denigrante e avvilente, non solo per chi deve scontare una pena, ma anche per tutti coloro che lavorano all’interno degli istituti di pena, troppo spesso con carenza di personale e con mezzi non idonei a potere garantire, nemmeno la propria incolumità. Il carcere distrugge mentalmente anche la persona più forte, lì dentro relegata ad una esistenza collegata esclusivamente alle

“domandine”, da compilare ogni volta che si deve chiedere qualcosa, che poi dovranno essere vidimate ed eventualmente autorizzate, da chi dirige la struttura. In tutto quel delirio organizzativo, che spesso si regge esclusivamente sulla buona volontà e sulla disponibilità, posta in essere da chi lavora nelle strutture carcerarie, l’unico interesse di chi gestisce gli esseri umani che vi sopravvivono, sia per motivi di detenzione che per motivi professionali, è che nessuno metta in atto propositi suicidi, cosa che però costantemente invece avviene, con decine di persone che si tolgono la vita ogni anno, sia tra la popolazione carceraria, sia tra coloro che in quei corridoi lavorano.

Non potete rendervi conto di cosa sia l’esperienza carceraria, Enzo Tortora, dopo la sua ingiusta carcerazione, disse che dal giorno della sua liberazione, divideva la società in due categorie: “Chi era a conoscenza dell’esperienza carceraria e chi l’ignorava”. Risulta impossibile spiegare quella sensazione a chi non l’ha mai provata, anche se l’idea del corridoio bianco, vuoto, poco più largo delle nostre spalle, nel quale possiamo solo andare avanti, fino a quando incontriamo una porta senza maniglia, che si può aprire solo dalla parte opposta a dove siamo noi, rende parzialmente l’idea di quale sia l’esperienza carceraria.

Uno stato degno di questo nome, si riconosce proprio dal modo in cui gestisce i suoi prigionieri e l’Italia, in più di un’occasione, è stata oggetto di sanzioni erogate dal Tribunale dei Diritti umani di Strasburgo, proprio per il livello disumano delle sue strutture carcerarie. Chi gestisce la politica, per questa annosa problematica, risponde che risulta difficile creare una società carceraria differente e che la mancanza cronica di fondi dello stato, impedisce di migliorare una situazione che oramai è quasi ad un punto di non ritorno.

Eppure ci sono degli esempi formativi che potremmo attuare anche in Italia come per esempio in Svizzera o in Norvegia, dove le strutture sono efficenti e dove tutti i carcerati partecipano ad attività culturali e di reinserimento nella società, lavorano e producono una ricchezza che si ritroveranno poi in tasca, escluse le spese carcerarie o di rimpatrio, al momento del fine pena. Dal loro impegno poi nelle attività carcerarie, dipende anche la loro stessa scarcerazione, che può anche essere posticipata, nel caso in cui

il detenuto non dimostri buona volontà, impegno e rispetto delle norme e delle regole carcerarie. In Italia, non solo al detenuto non viene data la possibilità di fare quasi nulla, ma non è previsto nemmeno uno stimolo a crescere nella consapevolezza del detenuto, che possa contribuire alla sua liberazione, che oggi passa esclusivamente attraverso scadenze procedurali.

Ecco che se oggi vi potesse capitare di visitare un qualunque carcere italiano, magari dopo le ventitré, quando vengono chiuse le porte blindate delle celle, potreste rimanere fermi, ammutoliti a guardare quella tigre, sdraiata su un letto posticcio dentro la piccola gabbia, con lo sguardo ferito rivolto verso il nulla e provare un profondo senso di sofferenza ed ingiustizia per quell’opera d’arte della natura, relegata a pelouche di inutile essere umano.


“Le celle e le carceri sono progettate per spezzare gli esseri umani, per trasformare la popolazione in esemplari di uno zoo, obbedienti ai loro guardiani, ma pericolosi l’uno per l’altro.” (Angela Davis)

121 visualizzazioni2 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Lo struzzo

bottom of page