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Il silenzio di Ciro

"… lascio la porta aperta".


È una normale notte ottobrina nella caserma dei Carabinieri di Orta Nova a Foggia mentre Pasquale, il giovane piantone di turno questa notte, sta per alzare la cornetta del telefono che urla squarciando il silenzio notturno della piccola stazione dei Carabinieri pugliese. Ci sono dei suoni e delle voci che ti rimangono per sempre nella mente, a ricordo di un parente andato, di un amico scomparso, di un evento accaduto, o di un amore perduto. Pasquale non sa ancora

che tra pochi secondi, proprio quel telefono che sta squillando, gli marchierà il cuore e la mente attraverso la voce di Ciro, il collega della polizia penitenziaria che ha conosciuto al bar del paese, dove vanno tutti a vedere le partite di calcio in trasferta del loro amato Foggia. Pasquale mentre chiama il maresciallo per avvisarlo dell’accaduto, spera di avere capito male e mentre passa il biglietto con l’indirizzo di casa di Ciro, ancora gli rimbalzano nella testa le parole di quell’uomo taciturno e serio, che fino a stanotte non aveva mai dato segni di squilibrio. Si, era certamente un introverso, una persona

dagli occhi tristi che amava poco parlare, anche se ogni tanto quegli occhi esplodevano di felicità, quando parlava delle figlie che abitavano con lui e del figlio che si era trasferito al nord per lavorare. Il maresciallo guarda il giovane Carabiniere che trema come una foglia: <<Ma cosa ti ha detto di preciso Ciro?>>. Il ragazzo guarda il suo superiore, con l’espressione sul viso di quello che spera di stare raccontando uno scherzo, anche se nel suo cuore e nella sua mente, la voce di quell’uomo freddo e disperato, continua a rimbalzare sempre dentro le stesse drammatiche parole: “Ho ucciso mia moglie, ho ucciso le mie figlie, ora mi uccido e lascio la porta aperta.”

I Carabinieri hanno trovato veramente la porta di casa di Ciro aperta; le figlie esanimi nei loro letti e Ciro sdraiato vicino alla moglie, tutti freddati con quella pistola di ordinanza che l’agente di polizia penitenziaria, portava sempre con se. Di quella famiglia si è salvato solo il figlio che era fuori città, perché al Nord per lavoro.


Tutti coloro che li conoscevano e che conoscevano Ciro, non si danno dar pace e nessuno, nemmeno il figlio, riesce a dare una spiegazione a quanto accaduto. Quando uno si ammazza o ammazza chi ama, non si possono spendere parole di giudizio o di critica; il meccanismo complesso del nostro cervello, a causa di tanti motivi che possono partire dallo stress, dalla rabbia, dalla gelosia, dalla vergogna o dall’orgoglio, rompono qualcosa nella cabina di regia, impendendo o travisando la realtà, portando le persone a fare qualcosa di cui spesso non possiamo poi darci spiegazioni. Io conosco bene quei meccanismi perché in me hanno portato a commettere cose che mai avrei pensato di potere fare, semplicemente perché l’ansia da debiti, mi ha sconvolto l’esistenza. Non si sa se Ciro avesse debiti, se avesse probemi con la moglie, se fosse in crisi con il

lavoro, che ricordiamo essere quello che paga più vittime in ambito di suicidi, o avesse altri problemi, ma di sicuro, come tutti quelli che commettono atti definitivi, non aveva nessuno con cui parlare e soprattutto nessuno che si interessasse a comprendere se quella persona taciturna, fosse solo introversa o avesse dei seri problemi, anche psicologici. Questa problematica, non è qualcosa da imputare alla famiglia, ma ad una società nella quale troppo spesso l’Uomo non è un essere umano da aiutare o sostenere, ma solo un numero che deve contribuire a sostenere il meccanismo che regola il paradigma nel quale viviamo.


A tanti poi non frega nulla di quello che uno può pensare o avere provato, quando ha subito questi stress psicologici, ed anzi alcuni continuano a lucrarci, in un assurdo gioco sulla pelle degli altri, quasi che attraverso il parlare male degli altri, si possa contribuire a mascherare il poco bene che ognuno poi fa. Non più tardi di ieri, un amico mi ha fatto vedere un messaggio che ha ricevuto in giornata, con il quale qualcuno gli ha inviato l’articolo di stampa di quattro

anni fa, che raccontava la mia storia, secondo lui svelando chissà quale arcano mistero, visto che quella storia io l’ho raccontata addirittura in un libro. Io oggi sono un uomo nuovo che da quell’esperienza negativa ha scoperto l’importanza di mettersi nuovamente in gioco per aiutare gratuitamente gli altri e mi rendo conto che tanta gente proprio in questo stesso momento in cui sto scrivendo queste righe, avrebbe bisogno di una spalla o di una voce amica, per alleggerire quel peso sul cuore, che un giorno potrebbe trasformarsi in una tragedia come quella di Ciro.

È troppo facile poi dopo dire che nessuno immaginava o sospettava nulla perché nella realtà quello che non vediamo o che non notiamo, è tale perché fondamentalmente a chi potrebbe fare qualcosa, poi non frega nulla di caricarsi sulle spalle anche i problemi altrui. Io spero che la nostra Presidente Maura Luperto, un giorno, tra le tematiche da proporre ai salotti, metta anche la domanda: “Ascoltare: Cosa ci turba e come possiamo aiutarci” e magari già questa azione, potrebbe aiutare qualcuno a fare in modo che nessuno debba più ricevere drammatiche telefonate, con le quali si comunica l’annullamento dell’essere umano.


È verissimo che se vogliamo creare un Mondo Migliore dobbiamo iniziare a vedere solo il lato

positivo e la parte bella della nostra esistenza, ma è altrettanto vero che se vogliamo davvero farlo, dobbiamo anche aiutare chi vive nell’ombra ad uscire allo scoperto, per godere della forza, della grandezza e dell’energia del sole. Solo così potremo sentirci degli Uomini Migliori.


“Non è tanto dell'aiuto degli amici che noi abbiamo bisogno, quanto della fiducia che essi ci aiuterebbero nel caso ne avessimo bisogno.” (Epicuro)

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