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Gli stivali di Edda

"Sono pronto a resistere con ogni mezzo, anche a costo della vita, in modo che ciò possa costituire una lezione nella storia ignominiosa di coloro che hanno la forza ma non la ragione.” (Salvador Allende)

Edda Van Heemstra si toglie le scarpette da danza e rimette i suoi grandi stivali, di due numeri più grandi, che sua madre le ha acquistato per risparmiare. Ha appena terminato di danzare davanti ad un pubblico silenzioso, che alla fine non l’ha applaudita nonostante abbia danzato divinamente. Ogni volta che si esibisce finisce così, perché lei balla agli incontri segreti nei quali gli antinazisti si ritrovano, con la scusa di vedere quei balletti che il regime vieta. Il nazismo permette infatti la danza e il cantare, ma devono essere fatti sempre senza pubblico, onde evitare adunate sediziose. Ricordando quei tempi Edda avrebbe poi affermato che “nonostante non mi abbiano mai applaudita, quello è stato il pubblico più emozionante che io abbia mai avuto”.


Edda ha una sorta di repulsione verso le dittature e in particolare il nazismo, quello stesso nazismo che ha fatto innamorare suo padre e che lo ha portato lontano dalla famiglia, abbandonando moglie e figli. Per lei quello è stato il periodo più traumatico della sua esistenza e nonostante la sua avversione al nazismo, da grande, grazie alla Croce Rossa, riuscirà comunque a ritrovare suo padre e a rimanergli accanto, fino alla fine dei suoi giorni, forse riuscendo anche a perdonarlo. Si perché Edda ha il cuore grande come una casa e nonostante il suo fisico esile e fragile, ha dentro di sé una forza mostruosa, che mette a disposizione degli altri, fin dalla più tenera età, come staffetta della resistenza antinazista dei Paesi Bassi.

Ha poco più di tredici anni quando dentro quei grandi stivali, nasconde i messaggi cifrati che poi trasporta ai vari gruppi della resistenza e quando un pilota viene abbattuto nei boschi che circondano la sua città Arnhem, si offre volontaria per fare da tramite tra il pilota e le forze partigiane, per cercare di aiutare il militare alleato.

<<Dove vai ragazzina?>> il tenente tedesco guarda con aria truce quella bambina che esce dal bosco, con un grande mazzo di fiori in mano. Edda si sente gelare il sangue nelle vene e sa bene che quei nazisti, come tante altre volte, probabilmente adesso le spareranno. Edda guarda il militare tedesco regalandogli i suoi occhi dolci ed un grandissimo sorriso, porgendogli poi il mazzo di fiori: <<Li ho raccolti per la mia mamma ma li regalo volentieri a voi, se vi fa piacere!>>. Il militare rimane perplesso e poi scoppia in una grassa risata, a cui segue una leggera carezza sulla testa della ragazzina: <<Vai portali a tua madre e dille che questi fiori glieli manda il Führer>>.

Edda corre via felice e incredula, senza rendersi conto che quella resterà comunque l’interpretazione più importante della sua vita, anche se poi, proprio la sua capacità recitativa, dopo la fine della guerra, quando si trasferirà in America, le regaleranno due premi Oscar, tre Golden Globe, un Emmy, un Grammy Award, quattro BAFTA, due premi Tony e tre David di Donatello, inserendola tra le figure di spicco del cinema statunitense degli anni cinquanta e sessanta. L'American Film Institute, l’ha poi inserita al terzo posto tra le più grandi star della storia del cinema e una sua stella ricorda il suo nome sulla Hollywood Walk of Fame, al 1652 di Vine Street. Ma il nome che è

inciso in quella stella non è quello di Edda Van Heemstra, perché quel nome e cognome, sua nonna glielo aveva cambiato dopo l’invasione nazista dei Paesi Bassi perché il suo vero nome era considerato troppo inglese e quindi poteva essere inviso ai tedeschi. Del resto la sua famiglia aveva rapporti familiari addirittura con la corona inglese ed era di discendenza nobiliare. Comunque forse pochi si sarebbero ricordati di Edda Van Heemstra, ma tutto il mondo, dopo la fine della seconda guerra mondiale, ha scoperto la grandezza di quella ragazzina che oggi

ricordiamo con il suo vero nome divenuto indimenticabile grazie ad una colazione da Tiffany: Audrey Hepburn.


La Hepburn avrebbe poi incontrato un altro mostro altrettanto vile quanto lo fu il nazismo, ma questa volta non sarebbe riuscita a vincere quest’altro cancro, che però alla fine non ha intaccato la sua immortale bellezza, con la quale la ricordiamo ancora oggi. Grazie a Audrey Hepburn per tutto quello che ci ha lasciato cinematograficamente, ma soprattutto per quegli stivali che ci devono fare ricordare che basta davvero poco, a volte una

calzatura di due numeri più grandi, per fare qualcosa di grande e di importante, per migliorare in silenzio questo nostro mondo malato. Audrey Hepburn ci ha lasciato un grande insegnamento: Arriveremo forse a cambiare il mondo, ma per farlo è necessaria la nostra capacità di resistere ai momenti di difficoltà più estremi, ma soprattutto non dimenticare mai che oltre le nostre difficoltà, abbiamo il dovere di affrontare le difficoltà altrui.

“Ricordati, se mai dovessi aver bisogno di una mano che ti aiuti, che ne troverai una alla fine del tuo braccio... Nel diventare più maturo scoprirai che hai due mani. Una per aiutare te stesso, l’altra per aiutare gli altri.” (Audrey Hepburn)

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